Nacque Francesco Dall' Ongaro a Mansuè di
Oderzo, nel territorio di Treviso, d'umile famiglia, e in quell'ufficio
parrocchiale detto di S. Mansueto, si trova il seguente atto :
Addi 20 Giugno 1808.
" Francesco Giuseppe, figlio del sig. Santo q.dam Francesco Dall'Ongaro
e della sig. Elisabetta figlia del sig. Giuseppe Fantin, iug., nato ieri
alle ore 3 (tre) pomeridiane, oggi fu battezzato da me, Don Domenico
Berlese, Arc.te, padrini il sig. Carlo Dall'Ongaro e la sig. Girolama,
moglie. del sig. Giuseppe Fantin dalla Fiera di Treviso " .
Però il padre suo, Sante, era nativo di Tremeacque, presso Ghirano nel
Friuli, appunto tra-mezzo le acque del Meduna e del Livenza che ivi
confluiscono, e là abitava il ramo primogenito della famiglia, in una
casetta che si trova ancora, umile e diroccata, difesa dalle robinie
incolte che crescono tutto intorno, suo padre stesso, lavorando co'
fratelli in un proprio cantiere a costruire barche fluviali anche di
grossa portata, ed è quindi naturale che Francesco Dall'Ongaro si tenesse
perciò di quel luogo, scrivendo un giorno l'ode - Alla terra natia -
(raccolta a pag. 182). O mia terra natale -Patria degli avi miei, -intorno
alla quale mòlti si arrovellarono invano per chiarire l'apparente
contradizione.
Solo quando il genitore si sposò, non potendo vivere in casa, dovette
passare a Mansuè, che da Tremeacque dista ben poco, aprendovi una piccola
osteria, che pur oggi si trova, con l' insegna: " Vino, caffè,
liquori " mentre del poeta non v'ha nessun ricordo! E solo in Oderzo,
Raffaelo Sopran, benemerito raccoglitore di memorie opitergine, ebbe il
gentile pensiero di ricordarlo con quest'epigrafe :
QUI
VISSE LA PRIMA GIOVINEZZA
FRANCESCO DALL' ONGARO
POETA COMMEDIOGRAfO PATRIOTTA
N. A MANSUÈ DI ODERZO NEL l808
M. A NAPOLI NEL 1873
AMICI E AMMIRATORI POSERO
1888
Poi s'intitolò ivi una via al suo nome, perchè Francesco, maggiore di
quattro fratelli (Antonio, Giuseppe, Girolamo) e due sorelle (Maria,
Teresa) appena uscito d'infanzia e fatte le umili scuole presso il parroco
del paese, fu trasferito precisamente ad Oderzo, onde migliori studi
sviluppassero la sua mente sveglia e di ottima volontà. Il giovanetto,
con la medaglia d'argento fregiata del nome di Napoleone I, ottenuta in
premio dal suo buon parroco di Mansuè, partì contento e pieno di
speranze, ma nel 1820, dodicenne appena, trasferito con la famiglia a
Venezia, e viste le sue attitudini allo studio, si pensò tosto di farne
un prete, essendo quella l'unica strada per coloro che, privi di mezzi,
volessero studiare e un giorno soccorrere la famiglia.
In una lettera autobiografica che il Dall' Ongaro scrisse il 5 novembre
1856 alla sua distinta amica, baronessa Ida Reinsberger von Düringsfeld,
poetessa illustre, si vede che aveva fatto versi prima di saper leggere,
trovando le prime ispirazioni nel rigoglio d'una vivace e florida natura,
e il parroco e la madre avvertito tosto tale attitudine nel piccolo
Francesco, non seppero immaginare altra via, all'infuori della carriera
ecclesiastica, per fargli conseguire alcuna dottrina e alcuna agiatezza.
Cosi passò da Oderzo a Venezia nel seminario di Santa Maria della
Salute, assistito privatamente nello studio del latino dal canonico Montan,
che l'avea preso ad amar di cuore; e mentre suo padre e sua madre
attendevano ai minuti commerci egli frequentava assiduo quella scuola,
cominciando a soffrire amarezze e delusioni crudeli, proprio per l'indole
buona e leale che avea : Vivace e bisognoso di giovanili emozioni, quella
vita non era fatta per lui, ed espulso dal seminario di Venezia, perché
non voleva piegare all'avvilente disciplina, e agli esami del primo anno
di teologia aveva espresso in uno de' temi alcune idee compromettenti, che
parvero cosa rivoluzionaria, tentata più volte invano una conciliazione
si recò a Padova per compiere in quel seminario gli studi che ancora gli
rimanevano, e quanto soffrisse nell'anima sua espansiva di poeta, che
avrebbe voluto amar tutti come fratelli, che odiava solo l'egoismo della
teocrazia, l'attesta anche la seguente lettera inedita, al molto rev.
vicario Alessandro Piegadi.
Signor Vicario dolcissimo,
" Appena i silenzi seminaristici separarono l'anima mia dalle
vivaci impressioni che la scuotono e la occupano tutta nei liberi crocchi
degli amici, si svegliano in essa le memorie lontane, come in uno scritto
ritoccato riappariscono le traccie de’ primi caratteri, appena i più
recenti sfumano e si scancellano. Così il signor Vicario, le soavi
conversazioni tenute con lui, le vivaci controversie francamente agitate,
gli attinenti suoi e gli amici, di cui volle me pur fare amico, riempiono
ora il mio spirito e l'allettano. Non è già che la sua. rimembranza non
mi si presentasse anche ne' giorni passati, ma le confesserò che il
ricordarmi di lei tra la libertà e i piaceri non valeva ad indurmi a
prendere in mano una penna ed a scriverle.
Ieri sera sono rientrato nella mia prigione, e riassunsi le interrotte
abitudini della disciplina. Vorrei sperare che la salute mia che s'era pei
giorni addietro bastantemente ristaurata, non sentisse almeno nessun
nocumento dalla vita metodica- e più che metodica che mi converrà
trarre. Vantaggi certo non ne avrò, e chi potrebbe sperarli ? La contessa
Amaritte vorrà perdonarmi se non la vidi prima di partirmi di costì. La
mia partenza fu così arrabbiata, così repentina, impudente, che so io! -
Ma le dica ch'io l'ho presente e che non potrò scordarmi di lei, tali
discorsi mi tenne, finchè mi resta tempo di pensare al mio stato, alle
tenere cure che vorrei abbandonare, e alla solennità degli offici che mi
sento condotto ad assumere. L'assicuri che penserò tanto e così
seriamente ancora pria di contrarre alcun obbligo, che, qualcosa sia per
succedere, io non m'avrò più la sua compassione, ma piuttosto
l'approvazione. La prego di portare i miei più sinceri saluti alla
famiglia Bozoli, di cui ho così viva la rimembranza, che l'armonia
nell'alma ancor mi sento….. Non le sia grave aggiungervi quelli d'un mio
amico Muschiutti, il quale ricevette con somma compiacenza un ….. (parola
incomprensibile) di mad.lle Annetta, da me gelosamente recàtogli. Il
nostro buon parroco come sta ? S'è egli riavuto dalla sua indisposizione
? Saluto con venerazione anche lui, e caramente il signor Vicario e la
signora Marietta. "
Di Lei um. aff. servitore
FRANCESCO DALL'ONGARO
Padova, 14 Dicembre 1830.
Curò, anche per sollievo, con grande ardore gli studi di esegesi
biblica, imparò bene l’ebraico, il greco ed il latino, conobbe assai
profondamente i santi Padri, meditò il poema di Dante, che gli formò
grande coltura, più tardi anche il modo di fare intorno ad esso delle
brillanti conferenze, e ordinato sacerdote dal vescovo di Padova, si diede
alla predicazione sperando, come ebbe a scrivere ad una signora, che la
parola dall'alto del pergamo gittasse qualche seme di maschia virtù
nel popolo.
La sua prima predica ebbe luogo a Venezia nella chiesa dei Miracoli, e
numerosissimi accorsero i preti a sentirlo, e uno stenografo, ci racconta
il Barbiera, seguiva le parole dell'oratore, quasi dovessero essere
raccolte come guanto di sfida, ma come non trovarono nulla per combatterlo
apertamente, cominciarono una guerra sleale e sorda. Così, alcun tempo
dopo, il Dall'Ongaro venne chiamato dal vescovo di Padova che lo voleva
mandare parroco in un villaggio, ma il giovane rispose che aveva
abbracciato il sacerdozio per istudiare di proposito e darsi alla
predicazione e di non essere fatto per la cura d'anime, e per ciò fu
lasciato in apparente pace.
Dopo questi fatti il Dall'Ongaro si diede all' istruzione privata, da
prima ad Este dove egli stesso dichiarava d'aver avuta la prima
ispirazione del poemetto - Il Venerdì Santo - e quindi a Brescia,
precettore dei figli di Tullio Dandolo. Questo poeta, signorile di modi,
generoso, espressivo, schietto, si cattivava tosto la confidenza d'ognuno,
specie delle donne, delle quali fu sempre ammiratore devoto, smentendo
coloro che credono si debba disprezzarle per conquiderle; sempre nelle sue
rime mostrandole soavi, gentili e graziose! E furono molti i svariatissimi
i suoi amori, ma il primo, fu quello per Giulietta Dandolo, appunto madre
di Enrico e di Emilio, moglie di Tullio, morta solo un anno dopo che
conobbe il poeta, il 31 luglio 1835, e pare che la corrispondenza
intrapresa con lui fosse puramente ideale, perchè fra le sue bellissime
lettere raccolte con affettuoso pensiero dal marito, ve n'ha alcune
indirizzate ad amiche, in cui discorre amabilmente del Dall'Ongaro, del
suo ingegno, de' suoi difetti, dell'indole sua, senza lasciar trasparire
mai nulla di compromettente.
Fra le molte che amò poi, si staccano come figure scolpite il rilievo,
Caterina Percoto, al poeta cara come sorella d'arte incomparabile, e la
Nina veneziana, qualche volta rappresentata nei suoi versi pur come
simbolo vago di donna gentile e volubile come l'onde della sua laguna,
flessuosa, sorridente e bella.
E Francesco Dall' Ongaro, lasciata casa Dandolo educò a Parenzo il
marchese Paolo Polesini, passò con questi a Vienna, e venne poscia
chiamato a Trieste, istitutore di filosofia e lettere. Qui ora comincia
là' sua vera vita. Arrivato in tristi condizioni finanziarie insieme alla
sorella Maria che gli fu ognora tenera e indivisibile compagna, cominciò
tosto istruendo privatamente nella famiglia Levi, che molto stimava il
poeta, il figlioletto Angiolo, e quindi creò con la collaborazione di
parecchi schietti italiani il giornale la - Favilla - durato per ben dieci
anni, preannunziatore dell'era del risorgimento italiano. Il verso
dantesco – Poca favilla gran fiamma seconda - era il suo moto, e poichè
in quel tempo " i giornali non erano organi del governo, o d'un
partito contro il governo: erano un ricambio d'affetti e d'idee, un amo
gettato a caso per pescare, dovunque fosse un amico del buono e del bello
" come scrive il Dall'Ongaro stesso, essa valse a serrare
maggiormente lo stuolo dei valorosi intorno a sè ed a recare somma
utilità.
Dopo il 1821 erasi allentato come fiamma passata, ogni tentativo di
riscossa dal giogo straniero, ma tosto riacceso negli italiani l'amore
nazionale, i primi fremiti della rivoluzione del 1848 cominciarono a
propalarsi da uomo a uomo, di famiglia in famiglia. Era la vigilia d'una
legittima riscossa, e Francesco Dall'Ongaro, scrive ancora il Barbiera,
seguiva con altri, attento le linee crescenti di luce, onde si rompeva
quell'orizzonte ottenebrato, e il Tommaseo ossserva che pur nei versi
pubblicati allora dal poeta, si sente l’anelare d'un'anima che combatte.
Contro poi ogni idea clericale, specie di Vincenzo Gioberti, ai suoi
giorni anche troppo combattuto, il Dall'Ongaro usò la sferza di Dante,
avendo fin dal 1846 intrapreso quel corso di conferenze dantesche, che
tanto plauso sollevarono nel 1866 all'Ateneo di Venezia, quando il caro
poeta potè venire a rivedere la sua terra diletta, libera dallo
straniero, fuggendo le persecuzioni che anche a Trieste aveva dovuto
subire nell'ultimo tempo, perchè nel famoso banchetto a Riccardo Cobden e
in altre occasioni, aveva auspicato che una lega doganale, primo anello
dell' italica unità, si potesse una buona volta effettuare. Ciò
gridò forte, anche dopo essergli stato intimato il silenzio, minacciata
la baionetta dello sgherro, e quindi fu proscritto. Non si nega però che
a Trieste passasse anche degli anni belli, il periodo della fiorente
virilità, ed a ragione il - Piccolo di Trieste - scrisse che " se
Oderzo diede i natali a Francesco Dall'Ongaro, Trieste ha il merito di
avergli fatto passare il tempo più felice della sua vita " .
Grande amico del conte Stadion presentò a lui governatore un progetto
di canzoniere con quaranta componimenti e un testo per le scuole
elementari onde s’insegnasse agli italiani in italiano, e tornato nel
'69 brevemente a Trieste, constatava con le lacrime agli occhi il grande
risveglio nei sentimenti d'italianità, operato da questi testi in uno con
la -Favilla. -
Intanto aveva lasciato anche la veste talare, perchè il sacerdozio, fu
osservato, soffocava i suoi aneliti generosi, uccideva in lui il
cittadino, ma che tenesse tuttavia la fede cattolica ci è attestato da
vari suoi scritti, tanto diretti da Bruxelles ad un illustre personaggio
belga, quanto in lettere private. Vogliamo del resto vedere che dice anche
in una di quelle lettere al Quinet, per cui si fece tanto scalpore ?
" La religione è un sentimento, un istinto, un principio,
altrettanto necessario e indispensabile, quanto l' idea del giusto e dell'
ingiusto, del bene e del male…
" Quando ha perduto tale carattere, diverrà nelle mani di una
casta, un sistema definito di dogmi assurdi e di cerimonie
superstiziose... " , ed ecco perchè egli nauseato dal clero, deluso
di non poter predicare l' amore come sognava, gittò la tonaca, restando
religioso per sè, poeticamente, nobilissimamente. -
Da Venezia, ove si accorda col Tommaseo e col Manin, va a Milano ed a
Torino per fommentare i sacri sentimenti d' italianità, e nel dicembre
1847 passa a Roma, e con lui Massimo D' Azeglio, mentre molti veneti
emigrati aiutano il mirabile risveglio nazionale, entusiasti tutti di Pio
IX per il perdono concesso alle colpe politiche e per la libertà data
alla stampa. Scrive allora per lui il chiarissimo stornello :
Pio Nono è figlio del nostro cervello
Un idolo del core, un sogno d' oro.
ma ben presto s' accorgono purtroppo che quel raggio di libertà concessa,
era un semplice fuoco di bengala.
Ai primi giorni del marzo dell'anno successivo giunge a Roma la notizia
dell'insurrezione di Vienna, e allora il Dall' Ongaro torna a Venezia,
primo fra tutti, e costringe l' ambasciatore d' Austria a fuggire: il 22
marzo Venezia è libera, e il poeta fremente, pieno di speranze, senza
indugio ritorna a Milano, si accorda con Carlo Cattaneo, Cesare Correnti e
gli altri grandi autori delle 5 giornate, e di nuovo a Venezia, insieme ai
suoi minori fratelli, muove con la prima spedizione dei veneti contro gli
austriaci, ma a Palmanova, come si legge in una lettera del poeta stesso
ad Atto Vanucci, il giorno 13 maggio il fratello Antonio, pittore, cade
colpito da una bomba austriaca mentre stava sottraendo ad un incipiente
incendio le polveri raccolte in un magazzino, lasciando addolorata la
crociata di quei duecento veneziani, capitanati da Ernesto Grondoni,
portabandiera Giulia Modena, che fu pietosa confortatrice del Dall’Ongaro
morente. Ed a Treviso, dove pure il poeta combattè, gli rimase gravemente
ferito il fratello Giuseppe, e ceduto il campo alle truppe invadenti del
Radetzki, tornano alla regina dell'Adriatico cercando tregua e pace, che
non potè trovare, quasi fosse scritto in Cielo il suo continuo tormento,
e perchè collaborando nell'acclamatissimo giornale - Fatti e parole -
propugnava l' ardito disegno di tentare un' impresa sul mare, fu mal
giudicato dal Manin, e confinato con altri a Ravenna.
Viene il 1849, il disastro di Novara, l' abdicazione di Carlo Alberto
sconfortato, e sole Venezia, dittatore il Manin, e Roma, restano libere,
ma quest'ultima pure in condizioni tristi.
Pellegrino Rossi allora ministro, uomo integerrimo, viene ucciso dal
popolo aizzato dai clericali, e subentra a lui Pompeo Campello, bell'
ingegno, già conosciuto dal nostro poeta a Trieste, e può ottenere così
che Garibaldi sia capo della prima legione italiana, generale per la prima
volta dei volontari italiani, a fianco, insieme ad altri, Francesco Dall'
Ongaro col quale stringe ancor più salda amicizia, e se avessero essi
avuto forza, quanto avevano cuore e amore, avrebbero conquistato il mondo
!
E intanto viene proclamata la Costituente Roma, 5 febbraio 1849, e ne
è a capo il Mazzini, con Dall' Ongaro comissario ed aiutante di
Garibaldi, mentre è anche deputato e direttore del - Monitore -
irradiante fiamme d' entusiasmo per la difesa dell' Urbe.
Ma ciò nonostante la repubblica andava male, il 25 aprile il generale
Oudinot sbarcato a Civitavecchia fece intendere le sue intenzioni
minacciose: il poeta lasciata la penna prese la spada, combattono
eroicamente, ma a rinforzo de' francesi vengono truppe di Spagna,
resistere è imposssibile, e così il 2 luglio i francesi entrano in
città, rinnovando il governo papale, mentre il Dall'Ongaro deve esulare,
invidiando la sorte di coloro che sono morti sul campo, come il Mameli,
Enrico Dandolo, Emilio Morosini, suggellando degnamente la vita col
sangue.
Esula nel Canton Ticino, e quanto soffrisse in quel forzato abbandono,
ogni buon cuore può comprenderlo; però era poeta, osserva il Barbiera, e
s' illudeva ancora per I' avvenire. Passò quattro anni a Lugano con un
nipotino e la sorella Maria, il Pisacane ed altri, ma neppur là fu
risparmiato alle persecuzioni !
Forse per incitamento primo di Giuseppe Mazzini, nel 1853 entrarono in
Milano dei patriotti troppo audaci contro gli austriaci, onde avvenne che
il governo raddoppiasse le sevizie e spingesse anche oltre confine le sue
ricerche, e con raggiri diplomatici dal Consiglio federale svizzero
ottenne che il Dall' Ongaro fosse cacdato nel Belgio. Al Brofferio, al
Raineri, a tutti coloro che volevano farlo entrare in qualche modo in
Piemonte se avesse falsificato le sue carte e mascherata la sua
fisionomia, rispose con un dignitoso rifiuto, giacchè una causa santa non
doveva aver bisogno di sotterfugi. .
Quanta nobiltà in quest' atto, quanta sincerità! Ed era sempre così
questo povero perseguitato dalla sorte e dagli uomini, questo spirito
sublime, che dimostrava fin dal primo incontro, come s' è compiaciuto di
scrivermi Giovanni Verga che lo conobbe, "una gran bontà, che vi
stendeva subito le braccia e lo irradiava tutto, vasta come il suo cuore e
l' ingegno altissimo... " In Italia s' accontentò di far penetrare i
suoi scritti, e ramingo a Bruxelles dovette cercare un' occupazione per
vivere, continuando a tal uopo le sue lezioni su Dante.
Risale ,a quel tempo pure la traduzione della - Fedra - del Racine, per
Adelaide Ristori, che gli procurò grandi lodi dai pubblicisti e letterati
del tempo. Nel 1855 perla rappresentazione entrò in Francia, ed eccolo
soggetto ad una nuova persecuzione, causa l' attentato dell' Orsini a
Napoleone III, ma l' imperatore lo fece tosto rilasciare in pace.
Nel '58 venne a Torino per presentare al conte di Cavour il Belly
autore del progetto per il taglio dell' istmo di Nicaragua, e finalmente
del '59 ritornò definitivamente in patria, a Firenze, come corrispondente
d' un giornale francese, che abbandonò subito dopo la, pace di
Villafranca.
Intanto s' era anche discostato dal Mazzini, e Bettino Ricasoli allora
capo del governo della. Toscana, chiarito con che mezzi fosse venuto, e
assicurato dalle sue risposte libere e schiette come al solito, gli
offerse una cattedra di letteratura drammatica, che il Dall' Ongaro
accettò, spinto anche dalle angustie finanziarie, e si diede tutto all'
arte.
Ma i suoi nemici vili, nell' ombra continuavano a colpirlo, onde stanco
e addolorato chiese ed ottenne che la sua cattedra fosse trasferita a
Napoli, dove l' anima sua di poeta fu dolcemente accarezzata e intiepidita
dal bel cielo glauco come il mare.
Caduto il mimistero Correnti, la cattedra gli fu tolta, e richiamato
nell'ufficio per volontà, del consiglio superiore della pubblica
istruzione, presidente lo Scialoja, dovette però tornare a Firenze.
Ubbidì, ma come poteva reggere alle nuove asperità ?
Fin dal 1871 un arcano malore lo turbava, a Milano nel '72 per l'
esposizione di belle arti, è fiacco, quel sorriso di bontà che gli si
vedeva fiorir sempre sulle labbra, rivolto agli amici, e sdegnoso di
fierezza per l' arroganza dei nemici non sussisteva più, e già i lavori
intrapresi intorno alla stessa esposizione, risentono osserva il Mongeri,
di tale prostrazione. Alla campagna di Verano, presso l' amico carissimo
Tullo Massarani col quale pure tenne lunga corrispondenza epistolare ed
ebbe in omaggio un ritratto da lui stesso dipinto, che ora figura alla
pinacoteca di Milano, alla vigilia di lasciarlo per l'ultima volta,
dedicava ad una signorina, chiamata Albina, questi versi :
Voi siete l' alba ed io sono la sera,
Crepuscoli ambedue di questa vita:
la vostra luce è limpida e sincera
la mia è nubilosa e scolorita.
Voi siete una speranza lusinghiera
io la memoria d' un' età fuggita.
Deh ! che disdetta che non sia concesso
Ritrovarci una volta al punto istesso,
E nell'ora fugace che m' avanza
Riunir la memoria e la speranza !
Ahi ! per noi non ritorna primavera!
Voi siete l' alba, ed io sono la sera !
La sentiva la sua fine, povero, poeta! e vane riuscirono le cure
indefesse e continue della sorella Maria, che gli fu conforto estremo,
come per Dante la figliola Beatrice, per il Petrarca ad Arquà la signora
del Brassano, Francesca, per il Galileo suor Maria Celeste monaca nel
convento di S. Matteo in Arcetri, e per il Leopardi la sorella dell' amico
Ranieri; chè la mattina del 10 gennaio fu trovato esanime, mezzo assiso
sul letto. Il tributo di compianto fu unanime, e pronunziò il discorso
funebre Franc. De Sanctis, con parola non di critico, ma di poeta,
ispirato a vivo e sincero affetto, convinto finalmente con ognuno, come
dice P. G. Molmenti che l' arte e la patria furono davvero gli affetti
maggiori della sua vita, tanto che ad essi questa sacrificò.